UNA LETTERA DI AUGURI AL TEMPO DELLA PESTILENZA
Cari tutti,
quest’anno sono stato a lungo in dubbio se mandare o no gli auguri di Natale e per l’Anno che Verrà. Con la pestilenza in corso mi sembra quasi maleducato fare degli auguri.
Però poi ho pensato che non voglio arrendermi alla fatica e alla tristezza di questo tempo, peggiorata dal fatto che è la seconda ondata e che l’illusione estiva di esserne quasi fuori è miseramente naufragata e che siamo nel mezzo dell’inverno. A primavera andavamo verso l’estate il sole il calore la luce. Adesso le giornate sono corte viene buio presto le nubi basse grigie la nebbia offuscano il cielo e l’orizzonte.
Ma forse non è un caso che da sempre gli uomini nelle religioni e i riti più diversi festeggiano proprio in questi giorni del solstizio d’inverno la Festa delle Luci.
Motivo quindi in più per cercare dentro di noi in qualche angolo dei pensieri o dell’anima la forza per resistere e reagire.
Del resto nel mondo ‘di prima’ pur rutilante di luci e scintillante di paillettes non è che di luce ce ne fosse molta.
La pestilenza ci ha messo impietosamente davanti a noi stessi – a tutti i livelli e in tutti i ruoli -: ai nostri valori alle cose che crediamo e a quelle in cui crediamo; al senso (o alla necessità di ‘fare’ senso, di costruire un senso).
Ci ha messo davanti anche alle nostre fragilità. Anzi alla nostra fragilità costitutiva essenziale.
Noi uomini della tecnologia che con una fiducia inesausta nella scienza e ancor più nella tecnica pensavamo di tenere sotto controllo l’aleatorietà della vita il caso il destino ci siamo ritrovati consegnati all’impotenza: l’unica cosa che abbiamo potuto fare è stata aspettare. Noi gente impaziente gente sempre di corsa gente che gira il mondo per poter dire di averlo girato e farsi un selfie ci siamo ritrovati a dover rallentare a doverci chiudere in casa a vedere il mondo attraverso lo schermo del computer.
Noi che pensavamo che la nostra felicità stesse nel poter comprare tutto ci siamo ritrovati con l’acqua alla gola e, anche quando le preoccupazioni economiche non sono state drammatiche, nella impossibilità di attendere a quei riti degradati che chiamiamo shopping movida etc. che tanto sono stati parte della nostra vita ‘di prima’.
Come ho già avuto modo di dire mi sono chiesto spesso nella mia lunga vita di teatrante cosa sarebbe successo se fosse scoppiata una guerra. La pestilenza in corso è la nostra guerra -quella della mia generazione e di quelle immediatamente successive.
Un nemico invisibile ha invaso le nostre città i nostri paesi le nostre case. Quasi un’invasione aliena.
Se durante le guerre tradizionali i teatri bene o male sono rimasti aperti durante questa uno dei primi provvedimenti delle Autorità è stato di chiuderli. E non sappiamo quando riapriranno.
Però proprio nel momento in cui non è più stato possibile partecipare a spettacoli molti soprattutto tra i giovani e i ragazzi -ma non solo, va detto- si sono accorti di quanto il teatro fosse una necessità vitale. Non tanto lo spettacolo ma proprio il teatro. Luogo fisico di una comunità e mentale di una ricerca personale protetta ma non per questo meno autentica.
Durante il secondo lockdown a noi che della pedagogia teatrale ci siamo sempre occupati e del teatro come strumento di conoscenza innanzitutto di se stessi -ben al di fuori di qualunque esibizione dell’Ego personale- abbiamo fatto la nostra cifra caratteristica abbiamo ricevuto numerosissime invocazioni d’aiuto.
La desertificazione prodotta dalla necessaria sospensione dei Laboratori scolastici -teatrali ma non solo- e dalla chiusura di molte attività laboratoriali o di spazi dedicati ha ulteriormente disorientato i ragazzi e i giovani che non vedono oggi un futuro se non di ombre immerse in una nebbia fitta. Un futuro che è professionale naturalmente ma che prima ancora è di realizzazione di una vita autentica e degna di essere vissuta che quindi non può essere fatta di puro consumo del tempo e di adesione a modelli comportamentali funzionali al sistema economico ma di per sè disumani e perdenti.
Così abbiamo cercato di dare una risposta positiva resistendo per essere un punto di riferimento per tutti coloro che lo stavano cercando e finché è stato possibile abbiamo portato avanti Corsi in presenza a e poi abbiamo fatto violenza a noi stessi proseguendo il lavoro on-line. Ma non abbiamo cercato di surrogare il lavoro in sala prove ma di sfruttare i limiti che ci sono stati imposti (a volte insensatamente da Autorità spesso confuse e litigiose che sembrano vivere su un altro pianeta): così ci siamo inventati degli audiodrammi che da una parte hanno riesumato la gloriosa tradizione del radiodramma dall’altra hanno permesso ai partecipanti di esplorare una dimensione interpretativa puramente affidata alle sfumature della voce ai suoi toni e ai suoi ritmi. Con risultati sovente per noi stessi sorprendenti. (Le info sono sul nostro sito).
Accanto a tutto questo che rappresenta una vera e propria novità abbiamo programmato alcune lezioni non accademiche sui Maestri del Teatro da fine Ottocento a fine Novecento.
Scusate questa lunga digressione che apparentemente con degli Auguri non c’entra niente.
In realtà credo contenga un suggerimento per domani.
La pandemia unita all’impreparazione culturale delle Autorità a tutti i livelli -e non parlo solo di quelle politiche- sta producendo danni devastanti e ancora invisibili. La distruzione del tessuto economico produrrà un cambiamento che non possiamo ancora prevedere ma che si rifletterà a tutti i livelli della società. La rabbia diffusa rischia di condurre a una guerra per bande o a una guerra di tutti contro tutti. Il mondo che verrà sarà diverso da quello che abbiamo lasciato e credo che nessuno si illuda più di tornare alla situazione di febbraio 2020. Che per altro era il risultato di un pensiero unico che ha prodotto ingiustizia povertà distruzione del pianeta e vantaggi per pochi. Un modello insomma insostenibile.
Nessuno di noi sa come sarà il nuovo mondo. Tantomeno se sarà meglio o peggio.
Però come sempre dopo una guerra e una guerra così devastante c’è un tempo di energie rinnovate di voglia di vivere e di fare.
Di questo tempo possiamo essere protagonisti -anche nel nostro piccolo- o vittime. Possiamo dire la nostra parola nel dibattito pubblico e nel nostro piccolo influenzarlo o stare seduti a lamentarci e subirlo.
Per trentanni ci è stato detto che tanto noi non potevamo fare niente. E questo pensiero è stato funzionale al grande potere economico in modo che potesse fare anarchicamente quello che voleva. Compresa la distruzione della dignità del lavoro e quindi delle vite dei lavoratori. E la distruzione di quella istituzione che correttamente intesa è un grande elemento regolatore e una grande camera di compensazione tra i diversi interessi che si chiama Politica.
A furia di pensare che fosse solo il luogo di un coacervo di ladri abbiamo finito col lasciare tutto il potere a società private fuori da qualsiasi controllo. Che anche dalla pestilenza hanno guadagnato sempre di più.
Il tempo che verrà sarà dunque un tempo di ricostruzione. Ma dobbiamo chiederci cosa vogliamo che sia ricostruito.
Io credo che innanzitutto vadano ricostruite delle Comunità e il senso di appartenenza a Comunità. Piccole inizialmente che possano essere però i mattoni per la costruzione di Comunità più grandi. Quindi va ritrovato il senso della relazione con l’altro nella sua interezza -e non solo come ‘strumento’ per arrivare a qualcosa; il senso dell’incontro che non vuol dire appiattirsi sulle opinioni altrui ma rispettarle e riflettervi; la capacità di collaborare per fare qualcosa domani mettendo insieme le differenze di abilità idee capacità; la pazienza dell’accettare che non tutto -anzi quasi niente- sarà come lo vorremmo; ma la soddisfazione di sapere che c’è anche un pezzetto di noi lì dentro; la saggezza di non rivendicare meriti a tutti i costi ma di passare dall’Io al Noi.
Sarà dura. Nessuno se lo nasconde o si illude. Ci saranno da fare rinunce e compromessi. Ma forse durante la pestilenza abbiamo imparato a scegliere tra ciò che davvero per ciascuno di noi, ma anche più in generale, è importante e ciò che è magari piacevole ma rinviabile. E abbiamo forse imparato che l’egoismo gratifica al momento ma è perdente se appena alziamo lo sguardo e pensiamo alle conseguenze a più lungo termine.
Noi a Studionovececento ci proveremo. Con le nostre povere forze ma anche chiamando a raccolta attorno a noi tutti coloro che pensano che ciò che facciamo non è solo un’attività professionale per quanto nobile ma davvero il progetto di un mondo diverso. Aiutando noi aiutiamo i ragazzi e i giovani che attorno a noi si stringono e che sono il nostro futuro. E quindi in fondo aiutiamo noi stessi.
Quindi alla fine di questa lunga forse troppo lunga lettera il mio augurio è questo: che il nuovo anno ci porti il tempo per la ricostruzione. E che dentro di noi possiamo trovare le energie per ripensare i nostri parametri per superare quelli cui ci eravamo pigramente assuefatti e progettare un mondo nuovo dove cultura bellezza arte studio intelligenza solidarietà rispetto autentico sorriso siano di nuovo messi in valore.
marco
PS. Per tutti coloro che in tutti i modi Cari tutti,
quest’anno sono stato a lungo in dubbio se mandare o no gli auguri di Natale e per l’Anno che Verrà. Con la pestilenza in corso mi sembra quasi maleducato fare degli auguri.
Però poi ho pensato che non voglio arrendermi alla fatica e alla tristezza di questo tempo, peggiorata dal fatto che è la seconda ondata e che l’illusione estiva di esserne quasi fuori è miseramente naufragata e che siamo nel mezzo dell’inverno. A primavera andavamo verso l’estate il sole il calore la luce. Adesso le giornate sono corte viene buio presto le nubi basse grigie la nebbia offuscano il cielo e l’orizzonte.
Ma forse non è un caso che da sempre gli uomini nelle religioni e i riti più diversi festeggiano proprio in questi giorni del solstizio d’inverno la Festa delle Luci.
Motivo quindi in più per cercare dentro di noi in qualche angolo dei pensieri o dell’anima la forza per resistere e reagire.
Del resto nel mondo ‘di prima’ pur rutilante di luci e scintillante di paillettes non è che di luce ce ne fosse molta.
La pestilenza ci ha messo impietosamente davanti a noi stessi – a tutti i livelli e in tutti i ruoli -: ai nostri valori alle cose che crediamo e a quelle in cui crediamo; al senso (o alla necessità di ‘fare’ senso, di costruire un senso).
Ci ha messo davanti anche alle nostre fragilità. Anzi alla nostra fragilità costitutiva essenziale.
Noi uomini della tecnologia che con una fiducia inesausta nella scienza e ancor più nella tecnica pensavamo di tenere sotto controllo l’aleatorietà della vita il caso il destino ci siamo ritrovati consegnati all’impotenza: l’unica cosa che abbiamo potuto fare è stata aspettare. Noi gente impaziente gente sempre di corsa gente che gira il mondo per poter dire di averlo girato e farsi un selfie ci siamo ritrovati a dover rallentare a doverci chiudere in casa a vedere il mondo attraverso lo schermo del computer.
Noi che pensavamo che la nostra felicità stesse nel poter comprare tutto ci siamo ritrovati con l’acqua alla gola e, anche quando le preoccupazioni economiche non sono state drammatiche, nella impossibilità di attendere a quei riti degradati che chiamiamo shopping movida etc. che tanto sono stati parte della nostra vita ‘di prima’.
Come ho già avuto modo di dire mi sono chiesto spesso nella mia lunga vita di teatrante cosa sarebbe successo se fosse scoppiata una guerra. La pestilenza in corso è la nostra guerra -quella della mia generazione e si quelle immediatamente successive.
Un nemico invisibile ha invaso le nostre città i nostri paesi le nostre case. Quasi un’invasione aliena.
Se durante le guerre tradizionali i teatri bene o male sono rimasti aperti durante questa uno dei primi provvedimenti delle Autorità è stato di chiuderli. E non sappiamo quando riapriranno.
Però proprio nel momento in cui non è più stato possibile partecipare a spettacoli molti soprattutto tra i giovani e i ragazzi -ma non solo, va detto- si sono accorti di quanto il teatro fosse una necessità vitale. Non tanto lo spettacolo ma proprio il teatro. Luogo fisico di una comunità e mentale di una ricerca personale protetta ma non per questo meno autentica.
Durante il secondo lockdown a noi che della pedagogia teatrale ci siamo sempre occupati e del teatro come strumento di conoscenza innanzitutto di se stessi -ben al di fuori di qualunque esibizione dell’Ego personale- abbiamo fatto la nostra cifra caratteristica abbiamo ricevuto numerosissime invocazioni d’aiuto.
La desertificazione prodotta dalla necessaria sospensione dei Laboratori scolastici -teatrali ma non solo- e dalla chiusura di molte attività laboratoriali o di spazi dedicati ha ulteriormente disorientato i ragazzi e i giovani che non vedono oggi un futuro se non di ombre immerse in una nebbia fitta. Un futuro che è professionale naturalmente ma che prima ancora è di realizzazione di una vita autentica e degna di essere vissuta che quindi non può essere fatta di puro consumo del tempo e di adesione a modelli comportamentali funzionali al sistema economico ma di per sè disumani e perdenti.
Così abbiamo cercato di dare una risposta positiva resistendo per essere un punto di riferimento per tutti coloro che lo stavano cercando e finché è stato possibile abbiamo portato avanti Corsi in presenza a e poi abbiamo fatto violenza a noi stessi proseguendo il lavoro on-line. Ma non abbiamo cercato di surrogare il lavoro in sala prove ma di sfruttare i limiti che ci sono stati imposti (a volte insensatamente da Autorità spesso confuse e litigiose che sembrano vivere su un altro pianeta): così ci siamo inventati degli audiodrammi che da una parte hanno riesumato la gloriosa tradizione del radiodramma dall’altra hanno permesso ai partecipanti di esplorare una dimensione interpretativa puramente affidata alle sfumature della voce ai suoi toni e ai suoi ritmi. Con risultati sovente per noi stessi sorprendenti. I primi due sono già stati trasmessi. Nei prossimi giorni ne trasmetteremo altri due (le info sono sul nostro sito).
Accanto a tutto questo che rappresenta una vera e propria novità abbiamo programmato alcune lezioni non accademiche sui Maestri del Teatro da fine Ottocento a fine Novecento.
Scusate questa lunga digressione che apparentemente con degli Auguri non c’entra niente.
In realtà credo contenga un suggerimento per domani.
La pandemia unita all’impreparazione culturale delle Autorità a tutti i livelli -e non parlo solo di quelle politiche- sta producendo danni devastanti e ancora invisibili. La distruzione del tessuto economico produrrà un cambiamento che non possiamo ancora prevedere ma che si rifletterà a tutti i livelli della società. La rabbia diffusa rischia di condurre a una guerra per bande o a una guerra di tutti contro tutti. Il mondo che verrà sarà diverso da quello che abbiamo lasciato e credo che nessuno si illuda più di tornare alla situazione di febbraio 2020. Che per altro era il risultato di un pensiero unico che ha prodotto ingiustizia povertà distruzione del pianeta e vantaggi per pochi. Un modello insomma insostenibile.
Nessuno di noi sa come sarà il nuovo mondo. Tantomeno se sarà meglio o peggio.
Però come sempre dopo una guerra e una guerra così devastante c’è un tempo di energie rinnovate di voglia di vivere e di fare.
Di questo tempo possiamo essere protagonisti -anche nel nostro piccolo- o vittime. Possiamo dire la nostra parola nel dibattito pubblico e nel nostro piccolo influenzarlo o stare seduti a lamentarci e subirlo.
Per trentanni ci è stato detto che tanto noi non potevamo fare niente. E questo pensiero è stato funzionale al grande potere economico in modo che potesse fare anarchicamente quello che voleva. Compresa la distruzione della dignità del lavoro e quindi delle vite dei lavoratori. E la distruzione di quella istituzione che correttamente intesa è un grande elemento regolatore e una grande camera di compensazione tra i diversi interessi che si chiama Politica.
A furia di pensare che fosse solo il luogo di un coacervo di ladri abbiamo finito col lasciare tutto il potere a società private fuori da qualsiasi controllo. Che anche dalla pestilenza hanno guadagnato sempre di più.
Il tempo che verrà sarà dunque un tempo di ricostruzione. Ma dobbiamo chiederci cosa vogliamo che sia ricostruito.
Io credo che innanzitutto vadano ricostruite delle Comunità e il senso di appartenenza a Comunità. Piccole inizialmente che possano essere però i mattoni per la costruzione di Comunità più grandi. Quindi va ritrovato il senso della relazione con l’altro nella sua interezza -e non solo come ‘strumento’ per arrivare a qualcosa; il senso dell’incontro che non vuol dire appiattirsi sulle opinioni altrui ma rispettarle e riflettervi; la capacità di collaborare per fare qualcosa domani mettendo insieme le differenze di abilità idee capacità; la pazienza dell’accettare che non tutto -anzi quasi niente- sarà come lo vorremmo; ma la soddisfazione di sapere che c’è anche un pezzetto di noi lì dentro; la saggezza di non rivendicare meriti a tutti i costi ma di passare dall’Io al Noi.
Sarà dura. Nessuno se lo nasconde o si illude. Ci saranno da fare rinunce e compromessi. Ma forse durante la pestilenza abbiamo imparato a scegliere tra ciò che davvero per ciascuno di noi ma anche più in generale è importante e ciò che è magari piacevole ma rinviabile. E abbiamo forse imparato che l’egoismo gratifica al momento ma è perdente se appena alziamo lo sguardo e pensiamo alle conseguenze a più lungo termine.
Noi a Studionovececento ci proveremo. Con le nostre povere forze ma anche chiamando a raccolta attorno a noi tutti coloro che pensano che ciò che facciamo non è solo un’attività professionale per quanto nobile ma davvero il progetto di un mondo diverso. Aiutando noi aiutiamo i ragazzi e i giovani che attorno a noi si stringono e che sono il nostro futuro. E quindi in fondo aiutiamo noi stessi.
Quindi alla fine di questa lunga forse troppo lunga lettera il mio augurio è questo: che il nuovo anno ci porti il tempo per la ricostruzione. E che dentro di noi possiamo trovare le energie per ripensare i nostri parametri per superare quelli cui ci eravamo pigramente assuefatti e progettare un mondo nuovo dove cultura bellezza arte studio intelligenza solidarietà rispetto autentico sorriso siano di nuovo messi in valore.
marco
PS. Per tutti coloro che in tutti i modi vogliono costruire un mondo nuovo assieme a Studionovecento o che pensano che Studionovecento possa essere un valido strumento per creare un mondo nuovo sul sito www.studionovecento.com trovate cosa stiamo progettando