ALCUNE RIFLESSIONI IN OCCASIONE DELLA CONSEGNA DEL PREMIO FERSEN PER LA REGIA XI EDIZIONE

Non vorrei parlare però del mio spettacolo come forse ci si attenderebbe perché è chiaro che sarebbe come chiedere all’oste se il vino è buono. Vorrei piuttosto riflettere sulle ragioni estetiche e poetiche che ci hanno spinto a fare questo spettacolo. E vorrei farlo proprio a partire da alcune considerazioni del Maestro Fersen.

Naturalmente ci sono anche ragioni ‘politiche’ -se così posso esprimermi- a monte dello spettacolo ma su queste in questa sede non mi soffermerò.

In quel libro difficile e affascinante misterioso e criticabile che è Il teatro, dopo il Maestro sostiene che “Il teatro non è più il vero evento ma una testimonianza dell’evento”. Il Maestro prende le mosse da questa considerazione per cercare di tornare a una forza sorgiva del teatro a una situazione aurorale di un attore/sciamano che si rivolge a un insieme non di spettatori ma di partecipanti.

Prendendo le mosse da quella considerazione -e devo dire non avendo le capacità del Maestro- noi andiamo nella direzione opposta. Assumiamo cioè come un dato di fatto positivo che l’evento teatrale sia una memoria dell’evento e non l’evento stesso.

Una memoria dell’evento e quindi una rievocazione. Non a caso buona parte del mio e nostro lavoro va nella direzione del Teatro di Narrazione esplorato nelle sue diverse forme e possibilità.

È tutto già avvenuto in un tempo precedente e il nostro compito -o il compito che sentiamo nostro- è farne memoria e attraverso la memoria porre delle domande all’evento stesso nella speranza ma anche nella convinzione che non abbia mai finito di dire ciò che ha da dire -come diceva Calvino dei classici.

Eccoci quindi sulla strada. Immaginiamo il teatro come epifania dell’invisibile. Un momento cioè in cui qualcosa di ciò che è nascosto sotto l’infinita complessità della vita può mostrarsi decantato e depurato ai nostri occhi solitamente distratti.

Da qui nasce il nostro lavoro sugli archetipi nel senso junghiano del termine -archetipi mitologici psicologici culturali metafisici- e quindi l’esplorazione da una parte dei grandi testi della storia dell’Umanità e dall’altra parte della Storia quella con la S maiuscola dove ancora una volta però cerchiamo di riconoscere gli archetipi nel loro nascosto lavorio sotterraneo. Così sono nati da una parte Genesi dall’altra Gli Scavalcamontagne dall’altra ancora anzi all’incrocio tra i due Orestea-L’alba della democrazia.

Resterebbe da dire qualcosa sull’attore all’interno di questa idea di teatro.

Il teatro è scivoloso e minato ma forse possiamo dire qualcosa partendo ancora una volta dalle considerazioni del Maestro Fersen.

Il Maestro ci parla di un attore che se si limita alla conoscenza del Personaggio “offre un saggio e non teatro”. Se invece “soffre col” Personaggio allora fa teatro. Da questa considerazione il Maestro deriva la ricerca dell’Attore/Sacerdote o l’Attore/Sciamano di cui sopra riconoscendo in questa forma la nascita stessa di quell’essere che chiamiamo ‘attore’. Noi ancora una volta -forse cercando di seguire coerentemente la nostra strada- ci allontaniamo dal Maestro -anche perché non ci sentiamo in grado di ripercorrere in nessun modo la sua ricerca- e immaginiamo un attore medium che attraverso un processo insieme tecnico e psicologico artigianale e misterico cerca di mettere il suo corpo la sua voce il suo sguardo le sue emozioni e i suoi sentimenti a disposizione di un’Ombra -pirandellianamente- che possa così vivere sul palco la sua ora di gloria.

Del resto un altro Maestro del teatro del Novecento Peter Brook ci dice che il teatro “è il luogo d’incontro tra finzione e immaginazione”. Crediamo di poter interpretare queste parole proprio nel senso di luogo d’incontro tra un artigianato e qualcosa che “le parole da sole non arrivano a dire”. Da qui prende le mosse la nostra ricerca sul lavoro dell’attore che abbia i piedi nella tecnica e le mani nell’immaginario il corpo sul palco e lo spirito in contatto con l’Invisibile. Non ci siamo ancora riusciti naturalmente e forse non ci riusciremo mai ma ci pare che valga la pena di tentare se non altro per veder fin dove ci possiamo avvicinare.

Genesi nasce così e per concludere parafrasando Montale ci diremo convinti che “nessuno farebbe teatro se il problema fosse quello di farsi capire. Il problema è far capire quel quid cui le parole da sole non arrivano”.